Polastro Luigi di Angelo
Caporale maggiore 248° battaglione Milizia Territoriale, nato il 10 maggio 1875 a Vigevano, distretto militare di Pavia, morto il 6 settembre 1918 a Vigevano per malattia. Operaio in servizio presso lo Stabilimento Ausiliario di Legnano. Sepolto a Vigevano, permesso sepoltura n° 320, data sepoltura 8 settembre 1918, nuovo cimitero terreno privato n° 11 campo XVIII°. Nell’Albo d’Oro vi è riportata una seconda scheda a nome di Pollastro Luigi di Angelo operaio genio militare 1ª armata, nato il 10 marzo 1875 a Vigevano, distretto militare di Pavia, morto il 6 settembre 1918 a Vigevano per malattia.
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Durante la prima guerra mondiale un certo numero di industriali e lavoratori, scelti dopo attente selezioni, furono esonerati dal servizio armato al fronte poiché, per le loro capacità manageriali e tecniche, vennero giudicati indispensabili alla produzione industriale nazionale. Altri vennero aggiunti perché non abili al fronte per la tarda età o perché riformati per malattia. I combattenti del Regio Esercito, sottoposti alla dura prova della trincea, li chiamarono ingiustamente “Imboscati”.
Con l’inizio della prima guerra mondiale della storia fu subito chiaro che un conflitto di tale portata avrebbe avuto la necessità enorme di materiali e mezzi, i quali sarebbero stati consumati con rapidità impressionante e l’esito finale si sarebbe risolto positivamente per chi meglio e di più avesse prodotto in armamenti ed accantonamenti alimentari.
Pertanto tutti i paesi belligeranti iniziarono, oltre che con una mobilitazione militare, con una mobilitazione industriale di intensi programmi produttivi finalizzati allo sforzo bellico. L’Italia a quell’epoca era una nazione con una economia prevalentemente agricola e quasi priva di materie prime, l’industria seppur in alcuni comparti fosse di buon livello tecnologico, non aveva la potenzialità degli altri contendenti.
La nostra mobilitazione industriale fu quindi più faticosa, venne affrontata con grande impegno ed abnegazione, presto sviluppò buoni risultati sino alla vittoria. Gli alleati contribuirono con sollecitudine fornendoci le materie prime necessarie e la nostra industria fu spesso all’altezza di trasformarle in buoni prodotti finiti. Durante la guerra gli stabilimenti mobilitati furono poco più di 2000, impiegarono circa un milione di addetti di cui 1/5 di sesso femminile.
Benché per tali mansioni venissero impiegate persone che non fossero sottoposte agli obblighi militari, troppo giovani o vecchi o di sesso femminile, fu necessario esonerare dal servizio armato al fronte lavoratori che per le loro capacità tecniche erano indispensabili alla produzione e a servizi pubblici di particolare rilevanza.
L’esonero fu stabilito che fosse temporaneo e il lavoratore benché in abiti civili e impiegato nello stabilimento, era pur sempre sottoposto agli obblighi militari, obblighi che era tenuto ad adempiere immediatamente se per qualsiasi causa gli fosse stata revocata l’esenzione.
Per contraddistinguere i “ temporaneamente esonerati “ operanti negli stabilimenti di interesse vitale per la produzione bellica, in luogo dell’uniforme, fu creato un apposito bracciale da portare sull’abito civile. (Circ. n° 363 del Giornale Militare del 21 maggio 1915).
Il bracciale era costituito da un tricolore a fasce orizzontali, con il rosso in alto, sul bianco al centro era posta una stelletta metallica a 5 punte e il distintivo doveva essere uguale per tutte le gerarchie aziendali. Nello stesso anno, con Circ. n° 854 del G.M., venne istituito un ulteriore distintivo metallico, di forma circolare del diametro di 30 mm e recava una stelletta metallica a 5 punte al centro, il distintivo rappresentava una coccarda tricolore a cerchi concentrici con il verde all’esterno, sul bianco al centro vi era coniata la denominazione dello stabilimento e il luogo della sede oppure più genericamente la dicitura “Mobilitazione Industriale Stabilimenti Ausiliari” seguita dal luogo di appartenenza. Del distintivo esistevano due versioni una di metallo verniciato con la stelletta liscia di ferro cromato e una di metallo smaltato con la stelletta argentata e zigrinata. Quella verniciata era per le maestranze e quella smaltata per i dirigenti.
Questo distintivo doveva essere apposto sul bracciale tricolore al posto della stelletta metallica precedentemente istituita, se ne conoscono con attacco a spilla e a vite.
Con la circolare n° 241 del 5 aprile 1917 vennero disposti i bracciali aziendali differenziati per le varie gerarchie aziendali. Il nuovo distintivo era costituito da un bracciale di colore azzurro con un tricolore orizzontale al centro e le differenze gerarchiche erano indicate così:
- Un gallone dorato ai bordi esterni orizzontali per: Proprietari, Consiglieri Delegati, Direttori Generali e Gerenti.
- Un gallone argentato ai bordi esterni orizzontali per: Direttori Tecnici e Amministrativi, Ingegneri, Impiegati di Concetto Amministrativi.
- Senza galloni per: Capi Reparto, Capi Operai, Capi Gruppo, Impiegati d’Ordine di Amministrazione.
I bracciali dovevano recare al centro una stelletta a cinque punte, d’argento per i dirigenti e di metallo bianco per gli altri. Per le maestranze rimaneva in vigore il bracciale tricolore di vecchio modello.
I distintivi della mobilitazione industriale furono all’epoca denominati dai combattenti “le stellette degli imboscati”. Questa espressione, seppur usata da persone che sopportavano la vita della trincea, fu alquanto ingiusta; infatti gli esoneri vennero generalmente concessi dopo un attento esame delle strette necessità produttive e sulle reali capacità professionali dell’esonerato.
L’importante fu che i programmi di approvvigionamento furono rispettati, ciò fece sì che alla fine della guerra la nostra tecnologia del settore era corrispondente alle esigenze del tempo.
Tratto dall’editoriale di Alberto Menichetti, pubblicato su Uniformi & Armi – N°7 del 1989.
Le due fotografie di operai militarizzati con il distintivo al braccio sono tratte dalla discussione su Miles http://miles.forumcommunity.net/?t=33300353
Fascia da braccio da Operaio Militarizzato dello Stabilimento Ausiliario Società Sanitaria Milano
Durante la guerra l’industria venne “mobilitata e “militarizzata”, cioè venne messa a disposizione dello stato e delle autorità militari che indicavano, tenendo principalmente conto delle esigenze dell’esercito al fronte, il fabbisogno mensile della produzione. Furono militarizzati circa 600.000 operai, soggetti alle leggi di guerra: l’Ansaldo (metallurgia) passò da 4.000 a 56.000 operai, la Fiat da 4.000 a 45.000 (per la costruzione di motori, carri, aerei, materiale bellico vario), il laboratorio pirotecnico di Bologna da 1.500 a circa 12.000 operai. Il regolamento della mobilitazione industriale e la militarizzazione degli operai in Italia non ebbe uguali nella maggior parte degli stati europei: né in Francia, né in Gran Bretagna e neppure in Austria furono emanate e applicate norme così severe. Il lavoro era coatto: il regolamento impediva lo sciopero e proibiva anche le dimissioni senza previo consenso del comitato regionale; né era possibile sottrarsi ad orari e a ritmi di lavoro massacranti. Da una indagine svolta dall’Ufficio del Lavoro in 13.931 stabilimenti che occupavano 981.519 operai, risultava nel 1913 che l’80,14% degli operai lavorava dalle 10 alle 11 ore giornaliere; nel 1915 l’orario “normale” era passato già a 12 ore giornaliere. La produzione nei 4 anni del conflitto subirà un incremento enorme: dal 5,6% del 1915, al 10,8% del 1916, al 21,6% del 1917, al 30,51% del 1918. Verranno comminate 1.650.000 multe e 28.600 saranno le condanne alla prigione.
(Da storie e memorie di Bologna)
http://memoriadibologna.comune.bologna.it/operai-militarizzati-54-organizzazione